C’è aria di diserzione nel “sistema moda”. I cervelli, le matite e gli aghi delle grandi firme sono da decenni freelance sfruttati e anonimizzati; sono loro, nell’ombra, i veri artefici del made in Italy.
Finalmente scelgono di emanciparsi e si mettono in proprio. Con So Critical So Fashion si sono messi in rete. Giovani creatori, brand indipendenti, slow fashion, riciclaggio di tessuti, tanta gioia.
Finalmente un Bello non banale per corpi non stereotipati.
Se pensate che vestire alternativo consista nel mettersi un sacco di iuta addosso, la risposta è  So Critical So Fashion, il primo evento di moda critica in Italia 27 settembre – 2 ottobre 2010 Milano.

Il primo evento è stata la sfilata Dressed Up , quella con le modelle volontarie.

Smarketing ha curato la comunicazione con Isola della Moda, per Terre di mezzo Eventi e AG22.

Vestire “alternativo”: a cosa?
Partiamo dal vissuto della gente normale: Vestire alternativo significa ignorare la sensazione inculcata dal marketing di essere poco belli, dell’età sbagliata, due taglie sopra lo standard…; smettere di immaginarsi, paranoicamente, sguardi critici e criticoni ostinatamente puntati addosso a sé, come se il resto del mondo non avesse di meglio da fare, e da tali sguardi far dipendere la nostra autostima.
Vestirsi è un’altra cosa, occorre rifondare l’idea stessa di moda.

La moda critica.

Ogni passo del cammino dell’evoluzione umana è (in senso positivo) una moda, nel senso che l’evoluzione arrivata ad un certo livello si standardizza e proprio dalla stasi di quel momento nasce la spinta e l’esigenza di un nuovo salto, di una nuova “catastrofe“.
La politica, l’economia, i modelli industriali, la cultura rispetto ai nuovi media: ci sono parecchi ambiti locali e globali in cui aspettiamo la catastrofe evolutiva.
Un pensiero solo apparentemente frivolo mi accompagna da parecchio tempo, e riguarda quella cosa apparentemente secondaria ed estetizzante che è la bellezza. Che ruolo ha la bellezza in tutto questo processo?

Bellezza e politica

Bellezza è un termine fortemente politico. Vale per la Cappella Sistina come per le veline che sculettano in tv.  Non è solo una questione di consenso, è una questione di controllo del paradigma. Per la nostra mente bello è buono, è un’identità aristotelica, come dire che A=A.
Ad esempio la ciminiera dell’inceneritore di Brescia, che regala cancro a tutta la città, è un bellissimo parallelepipedo cromatico che si staglia sul cielo; se tu lo vedi e dici “che bello”, allora sei pronto a farti un po’ di aereosol di quel bendidio. Dobbiamo imparare a scindere i due piani del buono e del bello, per non farci imbrogliare, ma non possiamo limitarci a quello, sarebbe scegliere una schizofrenia. Dobbiamo anche costituire nuovi statuti di bontà e di bellezza che rimettano insieme i due piani, restituendo equilibrio alla nostra psiche.

Lo specchio è controrivoluzionario; per ora.

A questo tema della bellezza vorrei includere la nostra bellezza: io precisamente penso a quello che vedo davanti al mio specchio ogni mattina, un cinquantaseienne poco atletico, ma voi pensate allo specchio vostro.
E’ davvero tanto frivola l’ipotesi che se ci piacciamo poco abbiamo meno empowerment? e che, conseguentemente, un condizionamento di massa sistematico per farci sentire di default troppo vecchi, grassi, perdenti e impacciati nuoccia anche alla democrazia?
Non penso paranoicamente a una Spectre della cellulite: penso che quella differenza di classe e di potere, che prima era nei simboli fuori dal corpo, oggi ci è entrata dentro la pelle; oggi, in questa stagione della storia così votata all’apparire e al sedurre.

C’è un’altra bellezza, c’è un’altra eleganza, per altra intendo dire che non è quella delle modelle dei rotocalchi ma che è la nostra,  è quella dei nostri corpi umani di tutte le età e di tutte le stazze, altezze, colori, misure di seno o di bicipiti.

L’altra moda

C’è un'”altra moda” , nel senso di un altro modo, di un altro criterio, di un’altra riflessione (lo specchio ri-flette, no?). Se vi aspettate un fashion un po’ trasgressivo e pertanto più glamour, non avete capito.
L’ habitus in latino significa uno spazio condiviso, una percezione comune, da cui: abitudine;  è il momento di cambiare abitudini e non è facile come cambiarsi d’abito.

E’ il momento di non mettersi fibre che hanno inquinato il pianeta, vestiti cuciti da schiavi, tessuti pieni di chimicaglie.  E’ il momento di vestirci per essere belli davvero: vestirci, non travestirci; essere, non sembrare.
Reclamiamo di essere tutti bellissimi, orgogliosi e clamorosi come ogni essere umano può essere quando trionfa gagliardamente contro la tirannia dei clichet in tutte le sue forme coattive dal velinismo borgataro allo snobismo elitario.

Il nostro corpo è bello proprio quando non si veste per somigliare a qualcuno o fare invidia a qualcun altro.
Se qualcuno pensa che moda significhi superficialità, consumismo, adattamento al conformismo labile del momento, deve venire a So Critical So Fashion; per chi non ha fatto in tempo, ci vedremo l’anno prossimo. Scoprirà che da sempre l’uomo veste per manifestarsi, per essere, per scambiare conversazioni e raccontarsi. Sempre, tranne quando gli cacciano addosso una divisa.

Morale: liberiamo la moda dall’essere una divisa di lusso.