Marco Geronimi Stoll

pubblicitario disertore

costume, ferri del mestiere, i più letti

Il marketing politico ha perso le elezioni.

Che bello vedere l’inutilità dei i budget multimilionari della Moratti infrangersi contro la comunicazione fai-da-te dei mille irriverenti squattrinati ma spiritosi della rete.
Se penso che solo due anni fa i giovani copy delle agenzie milanesi erano reclutati a scrivere indifferenziatamente i testi sia per i politici di destra che quelli di sinistra… (sì, gli stessi copy! non volevo crederci io stesso, invece era maledettamente vero).
Se un partito è un brand, lo puoi vendere come si fa per le sottilette e i pelati: quante discussioni dopo il 13 maggio 2001 sulle casalinghe attempate (erano lo zoccolo duro di Berlusconi), sul voto cattolico, periferico, giovanile, eccetera eccetera, con l’idea che occorresse posizionare un marchio competitivo nel medesimo mercato elettorale. Che strada sbagliata! per forza che poi la gente ha cominciato a pensare che i partiti sono tutti uguali: se dicono le stesse parole alle stesse persone…
Se invece il partito è un’identità, e anzi non è più eanche un partito, è piuttosto un sistema ecologico vivente che si autoregola e che pensa con la testa di migliaia di persone, allora altro che sottiletta! Bye bye marketing politico.

Pisapia era partito con quel “la forza tranquilla”, proprio lo slogan che aveva fatto nascere il marketing politico moderno, coniato per Mitterand nell’80 da quel vecchio maestro di tutti i filibustieri del marketing che era Jacques Séguéla; i nostri marketer politici l’hanno scopiazzato (spesso senza capirlo, ma questo è stato meglio). Era quello che dichiarava il “pensiero pubblicitario latino”: la “passion why” al posto dell’americana “reason why”.
Oggi “la forza tranquilla” è una frase che appartiene a tutti, è di fatto creative commons, non è più neanche uno slogan. Stesse parole ma su altri mezzi, con altri stili, in altri contesti. E’ divertente trovarla nella nascita e nella morte del marketing politico, come due parentesi.

Ho tirato fuori dalla libreria Come “vendere” un partito scritto nel 1989 da Diego Masi, lo stesso che pochi mesi fa mi ha dato del comunista (nientemeno!) perchè parlavo di comunicazione dal basso… Mai buttare via i libri, anche quando sono obsoleti: diventano libri di storia, dalla tragedia alla farsa.

Vi si dichiarava che la vecchia propaganda partitica fatta per trent’anni con comizi, feste, giornali di partito e manifestazioni “sta perdendo il peso che aveva nel passato” e che adesso era il boom televisivo e la stampa a “conquistare il consenso”. Testualmente: ” Il partito è un prodotto (qualcuno dice semidurevole) e come un prodotto va venduto” e sul retro di copertina si chiedeva: “Si può stimolare l’acquisto di un voto, di un candidato, di un partito insinuandosi tra i dilemmi della scelta, come un detersivo o un dado per brodo si impongono nella borsa della spesa?” La risposta era ovviamente sì.

Tutta colpa tua, Pisapia: tra i mille danni che hai combinato (il terremoto a Pompei, la calvizie di Bisio, l’ulcera alla Moratti) hai hanche distrutto il mkt politico. Sostituito con cose disuete come la militanza, la conversazione, l’ironia, il pensare insieme… insomma: sostituito con l’intelligenza.

E adesso, come si farà a conquistare il consenso?
Il consenso è un processo mentale collettivo, da oggi non lo si ha, lo si è.
C’è molto garbo, in questa radicalissima rivoluzione.

2 Comments

  1. stefano

    ciao marco,
    mi piacerebbe molto che tu scrivessi qualcosa rispetto al marketing politico, le possibilità che avrebbe la sinistra di ribaltare i concetti del marketing politico, come si potrebbe utilizzare lo smarketing per una buona comunicazione politica, insomma quello che pensi dello scenario attuale e quello che si potrebbe fare se solo i partiti di sinistra smettessero di fare comunicazione politica come si faceva nel 1980 e come giustamente fanno le destre e certa finta sinistra……

  2. Marco

    Ne voglio parlare, ma non in questo vecchio thread, credo dopo il casino natalizio.
    Al momento preferisco vedere e ascoltare attentamente cosa esce qui in Italia nei SN sulla manovra Monti. Poi molto si giocherà sulle elezioni americane. Le cose del nordAfrica e medio oriente sono tutte in corso, anche se ora siamo a un punto diverso e più difficile del gioco.
    Guarda anche come viene zimbellato Putin… qualcosa di grosso si muove anche lì.

    Tornando alla tua domanda la sensazione è che la definizione stessa “partiti di sinistra” sia obsoleta e che anche da noi si stia fondando carsicamente qualcosa di nuovo.

    Eviterei assolutamente di metterci sopra etichette, cappelli, indirizzi o predicozzi, come faremmo istintivamente tutti noi della mia generazione: il rischio è di uccidere il cucciolo prima di capire che bestia è e se sa riprodursi.

    Uno dei classici modi che i movimenti hanno per uccidere i propri sogni è proprio questo: prendere le nuove opportunità quando sono ancora intuizioni acerbe, idealizzarle e incaricarle precocemente di una missione catartica-salvifica: abbiamo così bisogno di nuovi -ismi da idealizzare che saremmo ben portati a farlo.
    Con una metafora enologica, è come passare subito dal mosto all’aceto.

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