Roma, strascichi del 15/10.
Chi c’era davvero? secondo me quelli che hanno visto tutto in TV dal divano di casa.
Chi invece era lì tra i fumi del set, forse non ha visto lo spettacolo, ma solo l’enorme backstage di un inconsapevole Colossal.
Si sa che spesso gli attori sono gli ultimi a conoscere come esce la commedia o il film, specialmente se è una produzione molto grossa con migliaia di comparse. La trama, e la morale, sono quello che capisce lo spettatore, questo è fatale. Il regista sa che la mente umana ama le storie facili da capire, dove si capisce chi è il cattivo, chi il buono, poi c’è un po’ di suspance, un po’ di sentimenti stereotipati e infine vincono i buoni.

Il labirinto visto da fuori
Il mio punto di vista non pretende di spiegare niente, solo di aggiungere un ulteriore spunto di analisi, perchè quando una situazione è complessa, avere uno strumento per vedere il labirinto dall’alto fa perdere i dettagli ma pernette di vedere l’insieme.

Fare casino per farsi vedere in TV
È già nel format il modo di ripagare le comparse: sono contente di lavorare gratis. Ecco a voi un’altro effetto della sindrome del bambino trasparente, quello che riceve troppi input da elaborare, mentre di ascoltare i suoi output non frega niente a nessuno.

Incazzarsi non è dire: “guarda come sono incazzato
Anzi è il contrario, è identità fittizia, è il lavoro dei pubblicitari che sanno due o tre cosette di te:  che devi fare parte di qualcosa, che avere qualcosa di cui parlare, che devi trovare tuoi simili, essere ammirato, che devi disperatamente far somigliare quello che sei a quello che sogni di essere.

L’estetica della rabbia
Prima che ti ribelli davvero, ecco che il linguaggio delle appartenenze, delle divise, dei cliché ti offrono il folklore della ribellione; una fashon uno stile in cui rappresenti una rabbia esagerata e invece è solo un copione.
Non è Che Guevara, lo hanno notato in tanti: somiglia a più a D’Annunzio.

Sentire di esistere per tre secondi
Il sistema dei media lo sa, conosce bene il proprio enorme potere di farti uscire dall’anonimato.
Certo non ti concede i 15 minutes of fame promessi da Andy Warhol ma ti da almeno 3 o 4 secondi; se sei fortunato li replica decine di volte.

Uno spot che vale miliardi
Proprio questa ripetizione ostinata di frammenti brevi, di variazioni sullo stesso tema, di stereotipia ricordano il linguaggio degli spot pubblicitari.

Se fosse stato uno spot commerciale
, quante centinaia di milioni di euro, anzi, quanti miliardi o forse decine di milardi sarebbe costato “‘sto spottone de paura” andato in onda migliaia di volte nelle ore di massimo ascolto su tutte le reti?

Il marketing della paura
In ogni manuale di marketing si raccomanda di non usare la paura come argomento.
Si dice, ad es., che non puoi pubblicizzare di mettere i pannelli solari perchè se no c’è la catastrofe climatica, no: devi parlare positivo e dire che ami il sole e la natura; se usi la paura, la gente sfugge.
Infatti la paura è un prodotto, non un argomento. Per venderlo servono mezzi enormi, globali. Da piazza Fontana lo sappiamo. La guerra in Iraq ad esempio, ha avuto consenso grazie a quell’enorme spottone de paura delle torri gemelle.
La paura è un prodotto di cui hanno l’esclusiva i potenti della terra. I poveracci non riescono a venderla ai potenti neanche quando fanno la primavera araba.
Berlusconi, nel suo piccolo, non ha paura delle molotov degli incappucciati, che anzi hanno regalato tre giorni di viagra al governo impotente.
Attenti, non avrebbe paura neanche della rivoluzione vera, quella dei disperati veri coi forconi che la storia ogni tanto produce: da Luigi XIV a Gheddafi, il narcisismo dell’autocrate non può neanche concepire nella propria mente il fallimento; l’autocrate a volte può essere intelligentissimo, ma resta autoreferenziale.  Non può avere spazio sentimentale per la propria paura, se non forse all’ultimo momento quando sente scendere la lama della ghigliottina.

Il cappuccio non da visibilità agli invisibili
Che paradosso, coprirsi con un cappuccio per farsi vedere, per sentire di esistere, per “conquistare visibilità”. Ma infatti quando indossi la maschera non sei più tu, sei il tuo personaggio.

Se ti piaci nel ruolo, c’è qualcosa che non funziona
È normale che se uno fa qualcosa con convinzione (bella o efferata è un altra questione) provi un po’ di soddisfazione; ma se ti piaci troppo colla maschera del tuo ruolo (incazzato, ma anche moderato, furbo, puro…)  bada che è quello che capita a tanti politici: si piacciono così, che disastro!
Non sono pochi gli incazzati della mia generazione che ora recitano ruoli meglio retribuiti e meno rischiosi in quel teatrino che è il Parlamento.

Se il tuo ruolo paga un pegno, c’è qualcosa che non funziona
Nessuno si offenda, ma fateci caso: non c’è quell’enorme differenza che sembra, tra la ragazzetta che si alza le sottane per avere un passaggio in TV e il suo coetaneo cappucciovestito che recita il folklore di se stesso lanciando le bocce di benzina, ligio e dinamico nel suo personaggio di “incazzato esagerato”.

Appunti di drammaturgia militare
Colori, dinamiche, ritmo, ruoli, retoriche: ottima la regia, che ha provveduto a far lavorare bene entrambi gli schieramenti.
Dibattete pure se c’è o non c’è  un regista in carne ed ossa o se invece la coerenza drammaturgica sia intrinseca nell’ordine delle cose. Secondo me è un mix di ambedue, ma su questo non ho un parere autorevole da riferire. Mi interessa vedere alcune ovvietà con voi, che TV avete potuto vedere:

– la madonnina bianca e azzurra rotta proprio quando c’era la telecamera con un calcio di tacco d’anfibio,

– le utilitarie date alle fiamme ( l’italiano ama la propria auto, ogni spettatore si immedesima col proprietario di quella che vedono fumante e sa che sarà fregato due volte, una dai neri e l’altra dall’assicurazione),

– le decine di fotografi e operatori presenti in tutte le operazioni, come a dire: questi esistono, il mondo li guarda

– gli autoblindo che facevano i caroselli a velocità pazza dove non serviva a niente, se non a farsi riprendere bene dove c’era una grandinata di sampietrini,

– i poliziotti che rilanciavano i sampietrini agli incapucciati (così la stessa munizione su può riusare tante volte da ambo le parti, se no finisce il videogame),

– per finire col colpo di genio, quel blindato abbandonato alla piazza per immolarlo alle telecamere. Certo, i cappuccini hanno detto all’unico carabiniere che c’era dentro “scappa!” e l’hanno fatto fuggire solo con qualche parolaccia: chi aveva fatto finire lì quel poveraccio avrebbe preferito avere un bel martirio in diretta, sarebbe stato un vero colpo mediatico pronto per tutte le tv del globo; ma i cattivi hanno avuto una piccola crisi di umanità: è quello che succede quando non ti affidi ai professionisti.

– il martire avrebbe reso milioni, immaginate la vedova che piange col figlioletto in braccio, che share! e poi qualche politico che spara sentenze, immaginateli da Vespa. Sarebbe durata mesi. Pazienza, il morto ci scapperà la prossima volta, tanto questa è solo la prima puntata della nuova telenovela.

– Il rogo dell’autoblindo comunque è stato davvero fotogenico, un monumento tribale all’energia distruttrice che può esplodere: quelle fiamme a quell’ora stavano benissimo nella luce naturale, in contrasto pittorico con l’energia dei neri intorno… “se lo facevano per finta a Cinecittà, lo facevano uguale ” ha detto un videomaker. Colonna sonora: Wagner

La morale della storia
Ora quel mezzo milione di italiani più motivati alla critica sociale e alla contestazione, giustamente frustrati perchè i registi gli hanno tolto la scena da protagonisti, cominciano a cercare un confine tra antagonismo e teppismo: da che parte staranno alla prossima retata nei centri sociali, alla prossima smanganellata ai cantieri TAV… ?

Stiamo tutti cominciando a comprare il prodotto paura; Maroni ha già cominciato a venderlo, ad esempio a dire che tagliare i cancelli alla TAV (cioè far rispettare la legge contro la corruttela dei politicanti che mandano illegalmente la polizia contro la popolazione per spartirsi un business inutile coi nostri soldi) è un gesto di uguale livello teppistico.