.. O meglio internet cosa comune, come “commons”, perchè per gli anglofoni già parlare di un “bene” significa concepire un oggetto che ha un valore nel possederlo. Lo dico oggi, alla luce dei dibattiti sulla Decrescita di Venezia.
Le cose migliori hanno valore proprio in quanto non possono essere possedute.
Dunque, se ho ho la presunzione di considerare almeno un po’ buono quello che scrivo, devo avere anche la modestia di non possederlo.
Pubblico (ripubblico con piccole modifiche) questo articolo che è uscito per “21 grammi”

Internet ci libera dai diritti d’autore: possiamo essere tutti creativi, a km zero tra la creazione e il suo godimento; come ai tempi del canto popolare.

Addio copyright

Io sono un autore, ho scritto un po’ di libri (negli anni ’80 ne facevo uno all’anno) e ho bazzicato nel mondo della musica. Dovrei essere contento che ci sia la SIAE e una legislazione che (teoricamente) garantisca a noi autori un po’ di denaro.

Invece da almeno vent’anni rinuncio ai miei diritti e metto tutto gratis sul web; se ricevo qualche soldo per quello che scrivo, per contratto non cedo a nessuno l’esclusiva. Vi spiego perché.

Io, anche se dimagrissi, nel filo del modem non ci passerei.
Quando mi chiedo come sarà l’editoria cartacea fra vent’anni, penso che oggi un maniscalco guadagna più di un meccanico, ma va a lavorare in auto.

Ormai tutto si può scaricare con gioioso scrocco: libri, dischi, film, foto… Se ancora non lo fate, non è per “onestà”, ma solo perché non avete in famiglia un teen-ager che vi insegni: un mediatore generazionale. Siamo tutti pirati; guardate nel cruscotto di qualche politico o avvocato favorevole alla lobby dei copyright: scommettiamo che ci trovate qualche CD masterizzato?
Arriva la democrazia totale dei contenuti culturali e c’è solo da festeggiare!
Editori e discografici più grossi se ci pensano tirano fuori il Maalox; i più piccoli sogghignano: sono già nel mondo liquido dei pensieri che danzano tra gli elettroni; la carta oggi è una scelta, non un obbligo.
Oggi puoi fare il download di tutto tranne una cosa: l’autore in carne ed ossa. Tutti i contenuti diventano accessibili, ma difficilmente fruiremo molto più di ieri di film, libri o dischi. Semmai tanta scelta potenziale fa sì che la sera la TV ci soddisfi sempre meno: ristagneremo un po’ meno nel divano catodico con maggiore voglia di uscire, incontrare altre persone vere nel mondo reale: magari esci per sentire il concerto live di quel gruppo di cui hai scaricato il disco, o per conoscere la poetessa di cui ti ha commosso una poesia letta su youtube…

Sputo nel piatto in cui mi mangiano

Non sono un masochista che sputa nel piatto in cui mangia. In quel piatto ci mangiano solo i pesci grossi e questo è uno dei motivi che spingono noi autori a disertare i copyright; ma non é il principale. Dai libri che ho scritto quando ero “sotto contratto” per delle case editrici, ho guadagnato sempre pochissimo. Anche un volume come “il bambino tra i suoni” (Ricordi 1985, ristampato tantissime volte, due anni di lavoro), non mi ha fatto guadagnare in totale un milione di lire. Però mi ha dato quel po’ di fama di nicchia che m’ ha cambiato la vita.
Posso vivere se regalo i libri: economicamente me la posso passare dignitosamente con corsi, consulenze e conferenze. Cioè portando il mio corpo fisico a persone che vogliono parlare insieme, non semplicemente ricevere passivamente le mie parole. Girando per la penisola, più che la mia bocca porto il mio orecchio. La comunicazione è tornata reciproca, se non imparo niente dal mio interlocutore, lui non impara niente da me.
Morale: se uno ci vuole campare, regalare i libri è meglio, o almeno venderli low cost ai corsi ed alle conferenze: di persona, con la dedica e la stretta di mano; qualcuno lo trova disdicevole, ma perché? Mica sono una star della TV che banalizza i suoi fan (e il proprio ego) fingendosi un mito, no: per me è un orgoglio somigliare all’artigiano o al contadino che vende direttamente la sua produzione a filiera corta.

Il ricatto morale torni al mittente

Qualcuno chiama “pirati” quelli che si passano i file e uccidono il lavoro delle case editrici e degli autori. Ne fanno una questione morale, e allora parliamoci chiaro: davvero le case editrici sono sempre e tutte il baluardo morale della cultura? Vogliamo vedere cosa si vende, cosa va in classifica, quanto conformismo, ripetizione, ridondanza, quanto trascinamento dei personaggi televisivi? vogliamo vedere che contratti capestro esse impongono agli autori? Vogliamo vedere come pochi grandi editori speculativi si mangiano il terreno dei piccoli editori volenterosi? Quindi la colpevolizzazione moralistica sia rispedita al mittente. Se un libro, se un disco è buono, funziona anche se lo copi; anzi, spesso funziona perchè lo copi, grazie al passaparola.
Non siamo noi che uccidiamo la vecchia idea di industria culturale, è la storia. Quanti ridicoli stratagemmi legislativi o tecnologici, tentati per arginare il fenomeno, sono stati una serie di sconfitte patetiche: non può che andare così. Noi cogliamo l’occasione bellissima. Un’industria nata con la stampa di massa e con l’Opera, quella dei Diritti d’Autore, è stata frutto di un fenomeno tecnologico e logistico (l’Opera e i grandi teatri sono un fenomeno logistico parallelo alla nascita delle grandi fabbriche e ad un certo rapporto tra città e campagna). Il libro è una tecnologia duratura come la bicicletta, l’editoria industriale è grande ma fragile come le fabbriche di locomotive.

Il resto del libro è su http://libri.smarketing.it

Marco Geronimi Stoll