Arriva Fa La Cosa Giusta e stavolta noi ci occupiamo di moda.

Non ci piace affatto “il meraviglioso mondo della moda”

fairs-critical-fashion-fa-la-cosa-giusta-mila-L-mlemAiCredo che se stai leggendo qui la pensi come noi, quindi caviamocela con un elenchino per riassunto:
– gente che per apparire si traveste da persone di un ceto superiore, spendendo molti soldi;
– soldi spesi per suscitare sentimenti regressivi: distinzione, superiorità, fare invidia…
– … spesso si ottiene il risultato contrario: una patente di provincialismo e di cattivo gusto
– solo una piccolissima parte di quei soldi vanno effettivamente a chi crea e produce: nel tessile si nascondono i più bestiali sfruttamenti del lavoro e moltissimo inquinamento
– i soldi invece vanno in grandissima parte nel marketing
– il marketing sono miliardi spesi per farci sentire sempre insoddisfatti e criticabili
– però sia il mondo della moda che il mondo del marketing sono luoghi dell’ingegno umano e dell’esperienza artigiana; come nelle botteghe d’arte rinascimentali la creatività e le arti possono svilupparsi anche alla corte del peggior despota. A sua gloria, naturalmente
– e proprio quei palazzi medioevali e rinascimentali nei nostri centri storici oggi sono conquistati dalle nuove signorie dei brand: cittadelle quasi militari per imporre quel tipo di “bello”.

Le cose si complicano: serve il critical fashion

I cervelli, le matite e gli aghi delle grandi firme sono da decenni freelance sfruttati e anonidsc_0009mizzati; sono loro, nell’ombra, i veri artefici del made in Italy. Sono un mondo fantastico di mestieri, talenti, esperienze, materiali.
La loro arte ci serve, certo, non è forse legittima la voglia di ciascuno di noi di presentarsi in modo piacevole e usare l’abito come espressione creativa? Ovvio, vogliamo la Bellezza.

Bellezza è un termine fortemente politico.

Vale per la Cappella Sistina come per le veline che sculettano in tv.
fuck fashionPer imporre una certa idea di “bello” si spendono miliardi. Non è solo una questione di consenso, è una questione di controllo del paradigma. Per la nostra mente bello è buono, è un’identità aristotelica, come dire che A=A.
Dobbiamo fare uno sforzo per non dare per buona quell’idea di bello da rivista patinata che vogliono inculcarci; dobbiamo, come si scrive sui muri, “FOTTERE LA MODA”, ma il modo per farlo non è indossare un sacco di juta, come scrivevamo in “il monaco non fa l’abito” per lanciare (era il 2010) So Critical SO Fashion, il primo evento italiano di moda critica.

Un’altra bellezza è necessaria

altrescarpe-madrid-mercede-1200x800No: per fottere davvero la moda dobbiamo confliggere (che è più di competere) rivendicando la nostra idea di bello, di elegante, di piacevole; dobbiamo lottare per cambiare un paradigma; è una lotta strana che accade davanti allo specchio: una lotta per non somigliare a nessuno, per piacersi nonostante i condizionamenti.
Sembra una questione intima e personale, e in parte lo è, ma è anche sociale, economica e di costume: il vestito è sempre una bandiera, che lo si voglia o no.
A Fa la Cosa Giusta diremo che siamo più belli coll’abito usato, la camicia non stirata, il cappotto riadattato dalla sarta; che il nostro corpo è bello quando l’abito asseconda i movimenti che facciamo, quando la fibra è piacevole al tatto e non sembra plastica, quando i colori ci somigliano.
Mai più vestirsi per somigliare a qualcuno o fare invidia a qualcun altro.

I tre pilastri da sovvertire

La moda, quella “vera” del secondo novecento, aveva tre pilastri: il design del capo vero e proprio era solo uno dei tre, gli altri due erano il marketing e le ricerche di mercato. Proviamo a sovvertirli tutti e tre.

Noi di smarketing capovolgiamo il senso del marketing, ci smarchiamo dalla marca, rivendichiamo l’estetica di essere anziché apparire, facilitiamo  il contatto diretto tra chi fa e chi usa un capo di abbigliamento.
Contiamoci per contare fa il contrario esatto delle vecchie ricerche di mercato; è un social network dove tutti noi, che siamo il mercato, ci ribelliamo all’obbligo di consumare e per farlo ci si conta nei tre sensi della parola: contiamo quanti siamo, la nostra voce conta, ci facciamo affidamento.

Il terzo capisaldo sono gli artigiani. Sovvertire l’industria della moda si può solo con chi fa le cose che indossiamo. Perché i soldi che girano fuori dai brand sono pochi e devono andare il più possibile a chi lavora, riducendo le filiere.
Ci piacciono le cose fatte a mano, con materiale “buono”, su scala umana, con un’estetica fuori dal glamour.
Per questo a Fa’ La Cosa Giusta esponiamo insieme a due artigiani. Vogliamo toglierci la moda dei brand dai piedi e dalla testa.
Rilana (il filato di lana riciclata realizzato a Prato) ci offrirà sciarpe e cappelli, mentre Altrescarpe (le famose scarpe dell’artista-calzolaio Jesus Garcia vendute da Giambattista Belotti) ci proporrà nuove creazioni.

Siamo all’ingresso, dopo la scala mobile.
Lo stand si chiama:

smodati siamo e ci contiamo

questo è il link alla nostra pagina

e questo è l’inno degli smodati